Protezione speciale: vincoli familiari e vita privata non contano più
13 Mar 2023

Stretta sull’ottenimento della protezione speciale, decreto flussi a cadenza triennale, pene fino a 30 anni per gli ‘scafisti’ per il nuovo reato di ‘strage in mare’, nuove aperture e ampliamenti dei centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) ed espulsioni più celeri.
Sono questi i punti salienti del nuovo decreto legge immigrazione, composto da 12 articoli e licenziato dopo il Consiglio dei Ministri tenutosi a Cutro, il 9 marzo.
Protezione speciale, vincoli familiari e vita privata non contano più
La protezione speciale è un istituto che permette di ottenere un permesso di soggiorno di durata biennale tenendo conto di determinate condizioni particolari del richiedente: i vincoli familiari, l’effettivo inserimento sociale in Italia, la durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il Paese di origine. Essa rappresenta una forma di tutela imprescindibile: il migrante che arriva in Italia – pur non avendo i requisiti per richiedere la protezione internazionale – non può essere rimpatriato se ritenuto un soggetto a rischio di persecuzione e tortura in caso di ritorno nel Paese di origine.
Il nuovo decreto legge abroga il terzo e quarto periodo dell’articolo 19 comma 1.1. del decreto legislativo n. 286 del 1998 (Testo unico sull’immigrazione): due previsioni che consentivano il riconoscimento della protezione speciale alle persone che in Italia avevano costruito una vita privata e familiare. In pratica, tornano possibili le espulsioni anche in presenza di ‘vincoli familiari’.
I permessi di soggiorno già concessi saranno rinnovabili una sola volta e per un solo anno.
La conseguenza immediata del decreto legge che affronterà l’iter parlamentare nei prossimi giorni, sarà quella di aver creato una nuova condizione di incertezza per tutti quei cittadini che hanno già fatto richiesta di protezione speciale soddisfacendo il requisito del vincolo familiare o della vita privata, ma che oggi sono ancora in attesa di una decisione. Restano ‘salve’ le domande presentate prima del 10 marzo 2023 o per le quali la Questura competente abbia già mandato un invito a presentarsi per la formalizzazione (ex art. 7 del Decreto Legge).
Questa nuova e inaspettata condizione di irregolarità favorirà inevitabilmente le stesse dinamiche di vulnerabilità già conosciute in passato con la soppressione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, aprendo le porte allo sfruttamento lavorativo e mettendo esseri umani che avevano costruito una vita in Italia, nelle condizioni di sentirsi non più ‘a casa’. La risposta politica al naufragio di Cutro sembra alimentare un paradosso: invece che facilitare flussi regolari nel nostro paese, si creano condizioni per allargare le maglie dell’ irregolarità.
Decreto flussi triennale anziché annuale
Il decreto flussi, ovvero il rilascio di permessi di soggiorno per motivi di lavoro secondo un sistema di quote introdotto in Italia nel 1998, sarà pianificato su base triennale e non più annuale. Ben venga la programmazione triennale (se proprio non se ne può fare a meno) ma auguriamoci che il decreto flussi venga emanato annualmente in linea con le esigenze del mercato del lavoro italiano e nell’ottica di una migrazione regolare.
Per saperne di più su come funziona l’ultimo decreto flussi, ne abbiamo parlato qui.
Pene fino a 30 anni per gli ‘scafisti’
Si prevedono pene più severe per i cosiddetti ‘scafisti’ (chi è identificato come conducente dell’imbarcazione) e si prefigura la fattispecie di un nuovo reato di ‘morte o lesioni come conseguenza di delitti in materia di immigrazione clandestina”, con pene da dieci a vent’anni per lesioni gravi o gravissime a una o più persone; da 15 a 24 anni per morte di una persona; da venti a trent’anni per la morte di più persone.
Centri di permanenza per il rimpatrio più numerosi e commissariati
Nuove norme intervengono anche a modificare i Cpr o centri per il rimpatrio. In particolare, dal decreto viene previsto di “derogare al codice dei contratti pubblici, consentendo una maggiore speditezza nello svolgimento delle procedure” per aprire o ampliare i centri di permanenza per il rimpatrio i quali, secondo il governo, dovrebbero essere presenti in ogni regione.